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Perché ci facciamo gli Auguri? E da dover deriva la parola Auguri?

La parola auguri deriva da àugure , pronunciato con l'accento sulla prima a, ed era il sacerdote dell’antica Roma incaricato di interp...


La parola auguri deriva da àugure, pronunciato con l'accento sulla prima a, ed era il sacerdote dell’antica Roma incaricato di interpretare i segni divini. L’àugure osservava il volo degli uccelli o altri fenomeni naturali per comprendere se un’azione, come una guerra o un matrimonio, sarebbe stata propizia o sfavorevole.

Questo rito era chiamato augurium, e significava chiedere il favore degli dèi. Fare un augurio, dunque, era un atto sacro, un modo per ottenere un presagio favorevole prima di compiere un’azione importante.

Etimologia della parola.

Il termine augure ha radici nel latino arcaico augus, collegato alla radice indoeuropea aug- che significa “accrescere, rendere più grande”. L’augure era quindi colui che “accresceva” la forza o la prosperità grazie al suo legame con il divino.
Da questa radice derivano anche augurare e augurio e augusto tutte parole che conservano il senso originario di “accrescere il bene” o “rendere propizio”.

Augusto: l’uomo consacrato.

Il titolo Augusto, assunto da Ottaviano nel 27 a.C., deriva proprio dallo stesso etimo e significa “consacrato agli dèi” o “venerabile”.

Chiamare qualcuno Augusto equivaleva a riconoscere in lui un’autorità quasi sacra, un potere fondato sul favore divino.

Modi di dire moderni.

Quando oggi diciamo “Ti faccio i miei auguri”, continuiamo inconsapevolmente una tradizione antichissima. Non stiamo solo esprimendo un desiderio gentile, ma ripetiamo un rito linguistico: un’invocazione di prosperità e di esito favorevole, erede diretto degli antichi auguria.


Approfondimenti

https://it.wikipedia.org/wiki/Augure


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